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Conoscere il vecchio significa capire il
nuovo.
Il vecchio, il nuovo
Questa è una questione di tempo.
In ogni cosa l’uomo deve avere una mente limpida.
La Via : Chi procederà in maniera corretta e
attentamente ?
Gichin Funakoshi
Il karate è un’antica arte marziale il cui scopo è
raggiungere la massima capacità difensiva in una
situazione di reale pericolo per la propria vita.
L’artista marziale ricerca costantemente la massima
efficacia eppure, quanto più diventa forte e pericoloso,
tanto meno ricerca situazioni di scontro e di lite;
quanto più diventa capace di essere violento, tanto più
rifiuta la violenza e ricerca invece la pace.
Ci si è domandati spesso se il karate debba essere
agonistico o solo marziale. Io ritengo che il karate
debba essere se stesso e che debba essere considerato
nel suo totale valore; l’agonismo ne è solo una parte,
il karate non può identificarsi esclusivamente con esso
se vuole mantenere la propria identità e tradizione.
Non sono contrario all’agonismo, sono contrario
all’esasperazione dell’agonismo fine a se stesso, perché
si allontana da quella che è la verità e la via del
karate. E’ naturale, soprattutto in giovane età, avere
voglia di misurarsi, ed è giusto farlo; quando si è
giovani, si è pieni di energia, di vigore, di
incoscienza e anche di violenza. Il karate, tra le arti
di combattimento, è una delle più nobili perché riesce a
far scaricare gli istinti violenti in modo non nocivo,
anzi costruttivo, grazie al controllo.
L’agonismo può mantenere la concezione della via e della
tradizione se viene usato per cercare di controllare le
emozioni, le tensioni e le ansie, dovute al fatto di
trovarsi in ambienti non noti, di dover affrontare
persone che non si conoscono, di essere osservati da
tutti, e per cercare dal confronto una sincera
valutazione di sé per il miglioramento del proprio
essere.
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Affrontare un avversario in gara è dunque un
momento importante di confronto e di crescita in un
periodo in cui si ha l’esigenza di dimostrare il proprio
valore. Non si possono perdere i praticanti negando loro
questa opportunità. Ma poi li si deve condurre oltre.
L’agonismo presuppone, ovviamente e giustamente, delle
regole che servono a preservare l’incolumità degli
atleti. Il regolamento vieta in gara i colpi più
pericolosi, portati nei punti più delicati del corpo. E’
accaduto però, di conseguenza, che questi colpi non
vengono neppure più allenati nel dojo. Non dimentichiamo
che i colpi più pericolosi sono anche quelli più
efficaci, per cui praticando solo un karate agonistico,
si conosce solo una parte dell’arte. L’agonismo educa ad
avere dei vincoli e determinati comportamenti funzionali
al rispetto del regolamento, ma non sempre adatti a
risolvere una situazione di pericolo in condizioni
reali.
Ovviamente, non intendo dire che il controllo non deve
esistere, anzi lo ritengo determinante nel karate perché
dà la possibilità di poter continuare a praticare sino
in tarda età riducendo notevolmente la possibilità di
infortunarsi. La filosofia del karate sta nel condurre
un percorso che mi deve migliorare dandomi la
possibilità di fare delle verifiche (il kumite in tutte
le sue forme) che mi devono far capire i punti forti e i
punti deboli, accusando meno danni possibili; solo col
controllo questo può avvenire. Il controllo è un segno
di rispetto, non un limite. Il controllo non deve
limitare nella ricerca dell’efficacia, ma deve servire a
contenere una forza altrimenti distruttiva. Il karate è
una nobile arte perché costruisce e non distrugge e in
un contesto di forza devastante dà la possibilità di
capire chi è il più forte inducendo il debole a
migliorarsi col rispetto e non con la violenza grazie al
controllo. In questo modo l’avversario non è più un
nemico o un rivale da sconfiggere, ma è un
insostituibile compagno di viaggio. Questa concezione
mentale rappresenta il Do (cioè “cammino” o “via” per il
miglioramento del proprio essere).
Una volta acquisita, la capacità di controllo non si
applica solo alle tecniche, ma anche e soprattutto a se
stessi, significa controllare i nostri atteggiamenti,
comportamenti, sentimenti per creare i presupposti di un
equilibrio che riduca le ansie, le tensioni e ci aiuti a
vivere meglio nel rapporto con gli altri.
La vera vittoria non consiste nel battere un avversario
in gara. La vera vittoria consiste nel vincere quella
parte di noi stessi che è caratterizzata dagli istinti
cattivi e dalle debolezze, per trovare quella libertà
che ci porta a coltivare la pace e quella serenità che
ci fa sorridere al mondo, con la soddisfazione di chi è
guarito e non con la tristezza di chi sta soffrendo.
Questo è il percorso e la via del karate e del budo.
Per rispetto della tradizione intendo il rispetto dei
valori della tradizione rappresentati dall’onore,
dall’onestà, dall’umiltà e dalla ricerca sincera
dell’efficacia, concetti che non dovrebbero mai cambiare
nel tempo perché rappresentano l’essenza della
tradizione dell’arte marziale.
Ma sarebbe un errore voler conservare inalterato nel
tempo il materiale tecnico.
Noi abbiamo ricevuto l’esperienza e l’eredità di chi è
venuto prima di noi e ha dedicato la sua vita a
ricercare l’efficacia e i modi per migliorarla. Noi,
procedendo, abbiamo l’obbligo e il dovere di andare
oltre, e di non limitarci a continuare coi ricordi se
vogliamo essere degni di rappresentare un percorso.
L’esperienza del passato deve servire per migliorare il
futuro; i cambiamenti, che sono inevitabili, devono
essere il frutto di una ricerca, sorretta da una
dedizione incrollabile, che ci porti ad andare sempre
oltre per conseguire l’efficacia massima in relazione
alle nostre potenzialità. Se così avviene, i cambiamenti
occuperanno sempre un posto d’onore nella strada della
tradizione, perché ne rispetteranno i valori e gli
ideali; i cambiamenti dettati invece dal bisogno di
soddisfare un’immagine solo esteriore, oppure la
meccanica ripetizione del passato costituiscono il
tradimento reale.
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